1898.
L’Italia è unita da meno di quarant’anni, ma è già a un passodall’implodere. Ogni città è una polveriera, e Milano è la più grande di tutte.
Gli operai, infiammati dai socialisti rossi e dagli anarchici neri, hanno cominciato adalzare la testa. Il re d’Italia Umberto I è già sopravvissuto per miracoloa due attentati.
La Rivoluzione sembra a un passo, perché la società èpiù divisa che mai, organizzata in compartimenti stagni perché Nobiltà,Borghesia e Popolo non si sfiorino mai. C’è solo un luogo, un punto dicontatto: è un rettangolo di 100 metri per 70 dove per 90 minuti unavolta a settimana queste tre caste condividono tempo e spazio. È il calcio. Anche se nessuno in Italia ancora lo chiama così.
Herbert Kilpin è uno deipochissimi operai che una volta a settimana condividono quel tempo equello spazio.
Ventotto anni, inglese di Nottingham, durante la settimana è un operaiospecializzato alla Pirelli di Ponte Seveso che insegna a usare i nuovi telaimeccanici alle operaie italiane. La domenica, di nascosto, prende il treno eva a giocare da titolare con la squadra dell’Internazionale Torino, fondatadal suo capo e che riunisce nobili e borghesi.
Quella squadra, per ora,è il suo biglietto per il futuro: vuole sfruttare il suo talento per il calcioper lasciare finalmente il lavoro in fabbrica, per poi coronare il sognoagognato: creare una squadra per il popolo.
Quella squadra farà la storia del calcio mondiale: l’AC Milan