SINOSSI
Fil e Charlie (Antonio Folletto e Massimiliano Setti), entrambi trentenni, coltivano marijuana nell’appartamento in cui vivono al terzo piano di un condominio fatiscente, situato in un quartiere povero e degradato nell’estrema periferia di una città del nord Italia. Tempo prima, grazie a Ysabel (Maria Chiara Augenti), la fidanzata di Fil, erano entrati in contatto con il cugino Miguel, che aveva confidato loro il progetto di dar vita a un’enorme piantagione tutta sua in Messico.
Ysabel, Fil e Charlie decidono di tentare l’assurdo colpo della loro vita: coltivare e incrociare tra loro le migliori specie di piante esistenti, per ottenere i semi rari da esportare in Messico. L’ultimo tentativo di eludere i controlli dei poliziotti aeroportuali però non va a buon fine: avevano introdotto una discreta quantità di ovuli contenenti i semi di marijuana nel corpo del cagnolino di Ysabel, un carlino, che aveva però fatto scattare l’allarme del metal detector a causa di una protesi di metallo all’anca di cui la banda era ignara. Il cane, impaurito, era poi scappato senza lasciare tracce. Il prossimo “contenitore” di ovuli sarà tale Wanda (Francesca Turrini), un’insospettabile “cicciona” conosciuta per caso.
Con la complicità della madre di Fil, Lucia (Beatrice Schiros), una cinquantenne ludopatica appena uscita da una clinica per disintossicarsi dal gioco, Fil e Charlie preparano Wanda per il grande viaggio. Tutto si complica, però, quando dopo quindici anni di assenza, torna a casa Annalisa (Luca Zingaretti), padre di Fil ed ex marito di Lucia, diventata nel frattempo una transessuale….
Dedicato a tutti i familiari delle vittime… e a tutte le vittime dei familiari
NOTE DI REGIA
Thanks nasce come spettacolo teatrale e abbiamo deciso di trasformalo in film per raccontare anche cinematograficamente quel mondo marginale e poco esplorato dal cinema italiano, attraverso i modi di una commedia amara, cinica e lontana da ogni tentativo di lettura politicamente corretto della realtà. Attraverso le tormentate vicende di una famiglia sconclusionata e decisamente sopra le righe, che vive nella periferia povera e degradata di una qualunque città del nord Italia, cerco di dar voce a cinque personaggi vinti dalla vita, apparentemente in continuo conflitto l’uno con l’altro, ma, in realtà, carichi di ironia ed umanità. Una commedia feroce e maleducata, ma sincera e onesta. Una storia che, sempre in equilibrio tra volgarità e poesia, scava nelle profondità della società italiana, fino ad esplorarne, con divertimento, le sue zone più oscure e difficili. La mia scrittura, se da un lato si ispira al lavoro di autori teatrali con Martin McDonagh e Tracy Letts, di sceneggiatori e ideatori di serial televisivi come Vince Gilligan, Paul Abbott e Nic Pizzolatto, dall’altro ha mutuato elementi importanti da grandi registi come Ken Loach e i fratelli Coen. Di tutti questi autori ho sempre amato la grande capacità di raccontare il mondo e il “presente” senza mai farsi imprigionare da facile retorica o da inutili moralismi.
Thanks, infatti, fotografa senza fronzoli un’umanità socialmente instabile, carica di nevrosi e debolezze, attraverso un occhio lucido, divertito e, soprattutto, innamorato dei personaggi che racconta. La comune mancanza d’amore dei protagonisti porta i dialoghi all’eccesso e all’isteria evidenziando gli aspetti tragicomici di esistenze che commuovono e fanno ridere nello stesso istante. I loro tormenti emotivi amplificano il loro aspetto umano raccontando una realtà spinta all’assurdo che però attiene al nostro quotidiano. Uno stile “eccessivo” che, trasformandosi in provocatorio realismo, cerca un divertimento mai gratuito e fine a se stesso. Nella desolata e dimenticata periferia della storia emergono ferite familiari lontane, drammi odierni, fatti di cronaca, solitudini incolmabili e felicità inesistenti. È la storia di esseri umani sconfitti, abbattuti, lasciati in un angolo dal mondo che prima li ha illusi e poi tragicamente derisi. È il controcanto degli “ultimi” e degli esclusi dal mondo del successo e del benessere. In un esistenzialismo da taverna dove ogni desiderio è fallimento. Thanks è certamente una commedia nera. Scelgo questo termine, senza pretesa di troppo rigore, per indicare l’alleanza della visione comica con quella tragica. Come autore, infatti, porto avanti da anni un lavoro di costante ricerca sulla mescolanza dei generi, con l’obbiettivo di fondere l’ironia alla tragicità, il divertimento al dramma, in una continua escursione fra la realtà e l’assurdo, fra il sublime e il banale. Come una corda sempre tesa fra il “cielo” e i bassifondi, in uno spalancarsi di abissi, dove ad ogni passo non si può che restare in bilico. Mi interessa muovermi sul fragile confine dove, all’improvviso, tutto può inevitabilmente risolversi o precipitare. L’istante nel quale i personaggi si mostrano completamente nudi e stupidità e genio, senno e follia, suonano la loro nota nello stesso istante, lasciandoci con un sorriso sul viso e una tomba nel cuore. Sono convinto che Thanks sia un film “nervoso” ed estremamente veloce che segue sempre da vicino i suoi personaggi senza mai staccarsi dalle loro storie. Dialoghi serrati, ritmi sincopati e un linguaggio acre e disadorno, caratterizzato da una recitazione secca e immediata. Attraverso l’agire dei protagonisti lentamente scopriamo il microcosmo degradato e anonimo che li circonda: un quartiere periferico e malfamato di un qualunque nord Italia fatto di cantieri aperti, case popolari fatiscenti, campi abusivi, murales, macchine abbandonate e bruciate, spaccio e prostituzione notturna. Pur partendo da una base realistica però, è per me fondamentale raccontare un mondo mai riconducibile ad una geografia italiana specifica. Anche dal punto di vista della recitazione, infatti, sento l’urgenza di non caratterizzare i personaggi attraverso cadenze dialettali o provenienze territoriali particolari perché ciò che mi interessa di più è creare una storia dal largo respiro che racconti luoghi e personaggi assolutamente riconoscibili nell’immaginario collettivo, ma, al tempo spesso, non sempre e totalmente decifrabili. In questo senso il mio lavoro ha la grande ambizione di dar vita ad una favola metropolitana contemporaneamente reale e grottesca che potrebbe svolgersi ovunque in quanto la sua forza principale risiede nella specificità dei personaggi, nelle loro relazioni, nei sogni di riscatto sociale che li animano, ma, soprattutto, nell’universalità dei loro sentimenti e del loro dolore. Rispetto all’appartamento del protagonista, Fil, dove si svolge buona parte della vicenda, è mia intenzione restituire allo spettatore la stessa sensazione di distacco dal mondo e di claustrofobia che lui stesso prova per quasi tutta la storia. Il suo appartamento infatti, collocato al terzo piano di un condominio, è caratterizzato da muri leggermente colorati e scrostati, mobili usati, spazi angusti e tapparelle spesso abbassate. Ciò nonostante, così come per gli esterni, sento la necessità di ricostruire e ricercare un mondo povero, ma esteticamente luminoso e “bello” nel suo degrado. Oltre la libreria della sala, con i suoi volumi ingialliti all’interno, un passaggio nel muro ci conduce alla coltivazione illegale di marijuana sopra la quale il lento ondeggiare delle ventole e le numerose lampade led, conferiscono all’ambiente un’atmosfera lunare e quasi onirica. Questi sono gli spazi nei quali si muovono i nostri protagonisti, vittime e carnefici della lotta senza tempo per l’amore. Genitori disperati e figli senza futuro, combattono nell’istante che gli è concesso per la propria sopravvivenza. Provando ad accorciare l’incolmabile distanza che li separa, lasciando alla solitudine le loro inesprimibili diversità.